Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti
in S. Giustino - Chieti



Ieri, per la prima volta in poco meno di un secolo, quella finestra in via dei Crociferi è rimasta chiusa, spente le luci, al passaggio del Cristo e della Madonna.
A quella finestra i suoi l'avevano affacciata che era quasi in fasce; negli occhi le era rimasto un tremolare di candele accese, nel cuore le note di un canto possente e tristissimo. A quella finestra era sempre tornata ad affacciarsi, negli anni della gioia e in quelli del dolore; giovane sposa, e poi madre, e poi vedova, e poi... L'altro anno l'avevano aiutata a sistemarsi, che quasi non si reggeva più in piedi, dietro i vetri della finestra ("Non puoi aprirla, l'aria è fredda"). E lei, ancora una volta, aveva cercato il tremolare di quelle candele e teso l'udito al pianto dei violini. Sentiva, come solo i vecchi sanno, che non li avrebbe più ascoltati. Ieri sera, lungo via Ravizza, per la prima volta gli occhi di un bimbo hanno colto il luccichio delle mantelline di seta e l'ondeggiare dei simboli sui neri baldacchini. Due occhi che si sono chiusi e due che si sono spalancati alla vita passandosi il testimone di una fede che questa città conferma, da secoli, al lento sfilare della "sua" processione. Più ancora che qualsiasi altra ricorrenza, è la processione del Cristo Morto che a Chieti scandisce e segna il trascorrere degli anni, il succedersi delle generazioni, il tempo del vivere e del morire. In un atto di confessione collettiva, la sera del Venerdì Santo è la città che si fa processione essa stessa e che, accalcata e silenziosa lungo le vie del centro storico, idealmente sfila, pur restando immobile, in comunione di sentimenti e di fede con un corteo che, lentissimo e solenne, si snoda per le strade ma pare fermo nel tempo, sempre uguale a se stesso, ieri come oggi. Ieri al tempo della Controriforma, oggi nel terzo millennio. Hanno sfilato i sette simboli della passione, l'angelo di evanescente bellezza, il gallo intagliato in lucido legno, la tunica del Signore, le armi del potere, il Volto Santo, gli strumenti della tortura, grande e pesantissima la croce. Hanno sfilato portati a braccia dagli "aggregati" del Monte dei Morti, scortati dalle Confraternite cittadine che si distinguono per i colori delle mantelline di seta resi più vividi dai riverberi delle fiamme accese nei tripodi di ferro battuto. Sono passati i frati nel marrone dei loro sai modesti, i seminaristi in bianca cotta, i beneficiari maggiori e minori del Capitolo metropolitano, è passato l'Arcivescovo in veste penitenziale. Hanno sfilato gli incappucciati dell'Arciconfraternita, le tuniche nere, le mozzette dorate che vengono trasmesse da padre in figlio.

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