Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti in S. Giustino - Chieti |



Portavano a spalla il Cristo morto adagiato su una coltre nera preziosamente ricamata, il corpo
straziato ricoperto da un bianco, trasparente sudario; portavano a spalla la Madonna, di squisita
fattura, avvolta in veli di lutto. Annunciati dalle note del Miserere, prima distanti, poi sempre
più vicini, lontani, lontani ormai, sono passati i violinisti e i cantori con i neri zucchetti.
Ai lati della strada hanno pregato e si sono segnati i fedeli, in prima fila i piccoli e i più anziani;
hai visto piangere chi mai ti saresti aspettato che ne fosse capace; hanno scattato foto i turisti,
ma lo facevano con gesti rispettosi; sono stati aiutati ad alzarsi in piedi, al passaggio del Cristo,
i malati e i più avanti negli anni che avevano trovato sedili di fortuna. Si avvertiva, palpabile,
in quella folla che da via Pollione a via Arniense, da S. Maria al corso Marrucino si era accalcata
nelle strade, aveva occupato finestre e balconi, aveva bruciato incenso e acceso ceri, un senso di
smarrimento di fronte al mistero della morte. E di attesa. Si coglievano, o solo si intuivano, nei
volti che sono la fotografia della tua città, dolori manifestati o pudicamente celati, speranze
cullate o svanite, miserie gridate o nascoste. È sfilata la processione, ha fatto ala, silenziosa,
la gente. Ma tra coloro che portavano a spalla i simboli e i fedeli non c'era separazione, se non
fisica. È, quello del nostro Venerdì Santo, un rito collettivo che opera il miracolo della simbiosi
tra chi va in corteo e chi vi assiste, facendo degli uni e degli altri gli attori di un comune atto di fede.
Su tutto, mentre solo le nuvole che si sfilacciavano nell'aria violacea di una sera adriatica e il
vento che portava dalla Maiella i primi sentori della primavera generavano il senso del tempo
e dello spazio, su tutto e su tutti incombeva, struggente, il pianto del Miserere del Selecchy
che penetra nell'animo e con un brivido lungo ti spacca in due la schiena. Domani è Pasqua.
Ma se il pianto di una preghiera che non conosce parole riscatta gli uomini e li avvicina a Dio,
già da ieri sera a Chieti è tempo di Risurrezione.
Giampiero Perrotti
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